Posta del Lettori: Elisa Giordano
Italia, ritorno agli anni di piombo? La rabbia tradita dalle frange violente

Le immagini delle ultime ore (vetrine infrante, auto incendiate, scontri con la polizia nel cuore di Roma e Milano) hanno riportato alla mente un’ombra che credevamo sepolta sotto decenni di democrazia: quella di un’Italia spaccata, avvelenata, dove la protesta si trasforma in guerriglia.
Le manifestazioni per la Palestina, nate come grido di dolore per i civili massacrati nella Striscia e per le tensioni legate alla cosiddetta “flottilla”, sono state sequestrate da frange violente che nulla hanno a che vedere con la solidarietà e con la pace.
Anarchici, infiltrati, professionisti del disordine: hanno approfittato di una piazza indignata ma civile per trasformarla in un campo di battaglia. Hanno distrutto, bruciato, aggredito; offendendo così migliaia di cittadini che avevano scelto di manifestare nel rispetto e nella legalità.
È una violenza che sa di déjà-vu, che riporta l’eco cupa degli anni di piombo. Un’epoca in cui ogni corteo poteva diventare un pretesto per sparare, colpire, distruggere.
Eppure, dietro questo fumo, resta una verità che non possiamo ignorare: gli italiani non vogliono più assistere in silenzio al massacro di civili inermi. È un moto di coscienza, non di ideologia. È un segno di umanità, non di appartenenza politica.
Fa onore a un Paese che, pur diviso su tutto, sa ancora indignarsi di fronte all’ingiustizia.
Ma c’è chi, come sempre, tenta di ridurre tutto alla solita polarizzazione: destra contro sinistra, ordine contro libertà, governo contro popolo. Una narrazione tossica che svuota il senso stesso della protesta e la riduce a propaganda.
In realtà, di fronte alla guerra (a qualsiasi guerra) non servono bandiere, ma coscienza. Non servono slogan, ma diplomazia. Non servono tifoserie, ma politica alta, quella che costruisce la pace anziché cavalcare l’odio.


Perché la pace non nasce dal fumo dei lacrimogeni né dal vetro infranto di una banca, ma dal coraggio di fermarsi un attimo prima dell’abisso e scegliere, ancora una volta, la civiltà.