Vivere nel bosco: fuga o libertà?

Posta dei Lettori: Elisa Giordano

Vivere nel bosco: fuga o libertà?

Photo by ByoBlu

La storia della famiglia che vive nei boschi dell’Abruzzo ha innescato un dibattito acceso e spesso superficiale. C’è chi parla di irresponsabilità, chi di coraggio, chi li considera “fuori dal mondo”. Ma forse il punto non è giudicare, bensì capire perché una scelta del genere ci colpisce così tanto.

Viviamo in una società che si riempie la bocca di parole come “inclusione” e “libertà”, ma che nella pratica esclude chi non si conforma. Se non hai un lavoro stabile, se non sei madre, se non hai successo o visibilità, diventi invisibile. Sei “fuori”. La nostra è una società che perdona tutto, tranne la fragilità.

L’ideale dominante è quello di una vita piena di impegni, di risultati, di apparente felicità. Ma dietro quella corsa si nasconde una stanchezza collettiva, un malessere che molti non riescono più a sostenere. Chi decide di rallentare o di sottrarsi al sistema viene subito etichettato come inadeguato, come se vivere in modo diverso fosse una minaccia all’ordine sociale.

La famiglia abruzzese, con la sua vita essenziale e autosufficiente, forse non fugge dal mondo: fugge da una realtà che non lascia spazio al silenzio, alla semplicità, alla lentezza. È giusto garantire ai bambini istruzione e assistenza sanitaria, ma non possiamo ignorare la dimensione più profonda di questa vicenda: il bisogno umano di libertà, di autenticità, di respiro.

In fondo, la vera domanda è: chi è davvero “fuori dal mondo”?
Chi vive tra gli alberi o chi vive circondato da schermi, ritmi frenetici e solitudini travestite da connessioni?

Forse non tutti possiamo trasferirci in un bosco, ma possiamo imparare qualcosa da chi ha avuto il coraggio di provarci: che il vero isolamento non è vivere lontano dagli altri, ma vivere dentro una società che non ci riconosce più.

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