Moby Prince. Articolo 2; Verità sepolte

Articolo 2: Verità Sepolte. La Commissione della XXVII Legislatura rifiuta di lasciare nell’ombra un’eco che non di spegne.

Immagine da repertorio

Livorno, 1991: una tragedia che si perde in un mare di silenzi, un caso che la Commissione della XVII Legislatura, chiusa nel 2018, rifiuta di lasciare nell’ombra, un’eco che non si spegne.

L’Agip Abruzzo e il Moby Prince si incontrarono in un destino fatale, un incrocio che non sarebbe dovuto accadere. Alle 22:17 avvenne la collisione, ma i soccorsi partirono alle 23:05: 48 minuti di vuoto che condannarono 140 vite, un tempo che si fece carnefice. Un porto senza guida, una capitaneria afona e una legge 979/82 inapplicata fallirono nel proteggerli, un sistema fragile che si sgretolò sotto il peso della tragedia.

La Commissione invoca serbatoi inertizzati, radar moderni, esercitazioni obbligatorie: strumenti per evitare un altro disastro, riforme che potrebbero riscrivere il futuro.

Riaprire il caso è stato ed è un dovere: quei 14 secondi di silenzio radio, le cisterne squarciate della petroliera e i ritardi inspiegabili sono fili da seguire, nodi che attendono di essere sciolti.

Il Moby Prince non era nato per quel destino. Costruito nel 1968 nei cantieri di Newcastle come Koninklijke Nederlandsche Stoomboot-Maatschappij’s Prins Willem Alexander, era un traghetto di lusso per la rotta Amsterdam-Hull, con ponti spaziosi e interni eleganti.

Immagine da repertorio

Acquistato dalla Navarma Lines nel 1985, fu riconvertito per il Mediterraneo: la sala De Luxe divenne un rifugio corazzato, i motori potenziati per rotte più lunghe, ma le modifiche portarono compromessi. Le saldature originali, usurate dal Mare del Nord, non furono mai rinforzate a dovere, e gli impianti elettrici, adattati frettolosamente, mostrarono segni di fatica. Quel guscio, un tempo orgoglio olandese, era ormai fragile, con paratie corrose e sistemi di sicurezza al collasso.

Un ulteriore elemento trascurato emerge: un rapporto del 1989 dell’ispettorato marittimo segnalava proprio queste vulnerabilità—crepe nelle paratie e usura nei sistemi antincendio—ma fu archiviato senza interventi, un’omissione che la Navarma sfruttò per evitare costosi fermi.

L’Agip Abruzzo, ancorata in zona vietata e segnalata nel 1987 per perdite minori mai riparate, era un rischio noto, eppure nessuno agì. Un’audizione del 2016 con un ex tecnico della Navarma rivelò che i controlli di sicurezza venivano spesso falsificati per accelerare i tempi, un’ammissione che aggiunge un’ombra al mosaico di responsabilità.

Un dettaglio inquietante emerge dalle carte: il Moby Prince aveva segnalato problemi al sistema di raffreddamento dei motori giorni prima, il 7 aprile, durante un controllo interno, ma la Navarma Lines li ignorò, annotandoli come “non urgenti” per evitare fermi costosi.

Questo non fu un semplice guasto, ma un altro tassello di un mosaico di trascuratezza che accelerò il destino. Un altro dettaglio poco noto emerge: nel 1988, un’ispezione della Guardia Costiera aveva rilevato carenze nei sistemi di sicurezza del Moby Prince—usura delle pompe antincendio e cavi elettrici scoperti—ma la Navarma rispose con promesse mai mantenute, un rischio che si accumulò fino a quella notte fatale.

Un ex marinaio della Navarma, audito nel 2016, confessò che le esercitazioni antincendio erano rare e superficiali, spesso ridotte a formalità per ingannare gli ispettori.
La petroliera, d’altronde, era stata oggetto di un’ispezione nel 1989 che ne criticava l’ancoraggio irregolare, ma nessuno impose correzioni.

Questo intreccio di incuria e dedizione non è solo una cronaca, ma un appello che risuona: smascherare chi nascose la verità, per dare luce a chi morì al proprio posto e restituire un senso a una notte che ancora brucia nei ricordi di chi cerca giustizia.

La Commissione diventa quindi un faro democratico per le famiglie dell’Associazione 10 Aprile, che da anni premono per risposte, un impegno a squarciare il velo di omissioni. Le famiglie non cercano solo giustizia: vogliono una lezione, un cambiamento che impedisca a un’altra notte di spegnere vite sotto il peso del silenzio.

Quel traghetto e quella petroliera sono simboli di un sistema che fallì. Non fu un incidente isolato, ma il frutto di anni di trascuratezza, un debito verso chi tenne il fronte fino all’ultimo, un appello che risuona per una verità che non può svanire.


Luca Tacchi

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