Tesoro di vetro di 2000 anni scoperto a Capraia con un robot subacqueo.

Era profondo 350 metri. Video del recupero

Tesoro di vetro di 2000 anni scoperto a Capraia con un robot subacqueo. “Era profondo 350 metri” – .

Tesoro di vetro di 2000 anni scoperto a Capraia con un robot subacqueo. “Era profondo 350 metri” – .

Il grande azzurro del mare era quasi impenetrabile a profondità superiori ai 350 metri. L’oscurità sembrava avvolgere tutto e ogni creatura. Ma la luce proiettata da Arthur, il nuovo prototipo di robot archeo-subacqueo specializzato nella documentazione e recupero di reperti in acque molto profonde, ha regalato la sorpresa più inaspettata in quelle acque italiane tra l’isola di Capraia e Capo Corso al largo della Corsica . Un autentico tesoro di vetro di oltre duemila anni fa. Un immenso deposito di oggetti raffinati, tra cui vasi, coppe, bottiglie, piatti, unguentari, tutti manufatti in vetro soffiato, integri, perfettamente conservati come se fossero usciti oggi dalla vetrina di un negozio. Uno spettacolo nello spettacolo marino, dove aragoste e pesci sembravano abitare quelle creazioni trasparenti, come invitate a un banchetto prezioso.

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LA MISSIONE

Un’emozione per il team di archeologi subacquei della missione bilaterale italo-francese che ha scoperto il rarissimo, eccezionale carico di vetro di un relitto romano datato tra la fine del I e ​​l’inizio del II secolo d.C. «Siamo di fronte a una nave naufragato con un carico composto quasi esclusivamente da vetro, trasportato sia allo stato grezzo, in diverse tonnellate di blocchi grezzi di varie dimensioni, sia lavorato, sotto forma di migliaia di manufatti da tavola in vetro soffiato», racconta al Messaggero Barbara Davidde, la sovrintendente nazionale per i beni culturali subacquei del Ministero della Cultura, ancora con l’emozione nella voce. Un caso praticamente unico. “La nave probabilmente doveva provenire da un porto del Medio Oriente – commenta Davidde – forse dal Libano o dalla Siria ed era diretta verso la costa francese provenzale”.

I mercati dell’allora Marsiglia. I mattoni di vetro destinati alle fornaci su cui lavorare, il servizio di piatti, coppe e bicchieri, per impreziosire i banchetti di lussuose dimore. La prima campagna di ricerca, che doveva esplorare la nave intercettata qualche anno fa ma rimasta nell’oscurità dei fondali, non solo ha “trovato” un tesoro, ma lo ha anche recuperato, frutto della strategica collaborazione con il Département des Recherches Archéologiques subaquatiques et sous-marine (Drassm) diretto dall’archeologa Franca Cibecchini e Inrap, con l’archeologa specialista di vetri antichi Souen Fontaine. Un’impresa tutta al femminile, alla quale hanno partecipato anche la biologa marina Nadine Le Bris e la diagnostica Carlotta Sacco Perasso.
Non è un’impresa da poco a quelle profondità. «Quando arrivi sul fondale tutto è scuro e buio, tanto che gli enormi blocchi di vetro grezzo sembravano a prima vista rocce – spiega Barbara Davidde – È stata la luce proiettata dai due robot sottomarini a farci capire il carico natura speciale. Davanti a noi avevamo tonnellate di blocchi di vetro grezzo e intorno a noi un deposito infinito di oggetti in vetro, come vasi, tazze, bottiglie, piatti di vetro soffiato, quasi tutti perfettamente integri». Il quartier generale della missione era la nave da ricerca ammiraglia, l’Alfred Merlin. Da qui sono stati calati in acqua i due esploratori sommergibili ad alta tecnologia, il Rov Arthur e l’Hilarion. «Arthur, capace di andare molto in profondità, è appositamente predisposto per effettuare ricognizioni, rilievi e recuperi archeologici – sottolinea Davidde – mentre Hilarion è specializzato per il supporto di foto, video e documentazione».

IL BRACCIO MECCANICO

L’emozione ha accompagnato ogni fase dell’indagine: «La fase del recupero del primo oggetto in vetro è stata ricca di tensione – ricorda Barbara Davidde – Era una bottiglia intatta. Osservavo con apprensione il braccio meccanico di Arthur riprendersi senza danneggiare un manufatto così fragile, conservato ad oltre 350 metri di profondità, dopo un drammatico naufragio, evento tragico al quale era sopravvissuto. Avevo paura che si rompesse…” Grazie ad un delicatissimo sistema di artigli montato su Arthur, sono stati recuperati vari oggetti di vetro (bottiglie, piatti, ciotole, coppe, un unguentario) ma anche due bacini di bronzo e alcune anfore, da trasportare al laboratori della Soprintendenza di Taranto.

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